lunedì 27 marzo 2017

Flop Feltrinelli | Errore di stampa per la nuova uscita di Amos Oz





Ebbene si. E' successo. Anche le grandi sbagliano.
Questa volta con Amos Oz e la sua nuova uscita Tocca l'acqua, tocca il vento.

La casa editrice Feltrinelli, che si occupa qui in Italia di stampare gli ormai celebri e attesissimi scritti dello scrittore israeliano, ha commesso un errore...non indifferente.
Come è possibile vedere da una foto scattata da un lettore su Instagram, la prima stampa del romanzo (nelle librerie già il 23 Febbraio) riporta Amoz Oz invece di Amos Oz.
Ovviamente, le copie sono state subito ritirate dal mercato per una nuova ristampa che uscirà nelle librerie il prossimo 30 Marzo. Anche se, qualche fortunato, riesce ancora a scovare delle copie qui e lì. Perché fortunato? Gli errori di stampa sono pezzi unici, da veri collezionisti. Figuriamoci in questo caso, dove l'errore è in primissima pagina.

Come dicevamo prima, anche le grandi sbagliano.
Ma errori così, sono ammissibili oggi?

giovedì 23 marzo 2017

Giovane carina molla tutto e cambia vita, Lisa Owens


Titolo: Giovane carina 
molla tutto e cambia vita
Autore: Lisa Owens
Casa Editrice: Newton Compton

Trama
 A volte bisogna fare un salto nel buio, mollare tutto e seguire i propri sogni. Claire Flannery ha trovato il coraggio di farlo. E adesso? Claire ha lasciato il lavoro per scoprire la sua vera vocazione, ma non sa da che parte cominciare. Correre la maratona di New York? Finire di leggere tutti i classici lasciati a metà? Di fronte a lei ci sono tantissime possibilità, forse troppe. E intanto le giornate passano tra un giro su internet, un bicchiere di vino di troppo a pranzo e gli incoraggiamenti della nonna («Ricordo cosa significa avere la tua età. Certo, io avevo già quattro figli…»). Gli altri intorno a lei sembrano avere tutto sotto controllo, a Claire invece sta sfuggendo tutto di mano.

Recensione
Quella che avete appena letto è la trama ufficiale.
Io qui di seguito vi riporto, in poche righe, il riassunto secondo il mio punto di vista:

COSE
A
CASO
MESSE
IN 
ORDINE
A
CASO


Nonostante Le confessioni del cuore di Colleen Hooveer resti il libro più brutto che io abbia mai letto in vita mia, mi duole ammettere che, almeno, di libro si trattava. La "prova" , definiamola così, della Owens, non è andata a buon fine e di libro non si può minimamente parlare. La definirei, più che altro, una "raccolta di pensieri\diario", per di più scollegati fra loro. 

Della serie:
Mercoledì
Sono andata ad una cena con amici. Le mie battute erano imbarazzanti.
Incontro con X
Chiamo ma risponde la segretaria. Me lo passa al telefono. Mi liquida subito. Non ceniamo assieme.

Ho fatto uno scorri pagine generale per vedere se tutto il libro si articolasse così e...si. 
Tutto il libro procede così. 

E' come se fossero stati pubblicati dei piccoli trafili appartenenti al diario personale della protagonista, non solo scritti male, ma soprattutto messi a caso, senza nessuna indicazione di giorni, date, o collegamenti logici o cronologici fra loro nel momento in cui si passa dalla lettura da un paragrafo all'altro .
 E' possibile che in paragrafo di cinque righe si esaurisca una discussione circa la necessità o meno di potare l'aiuola, e passare a quello successivo (inserito nella stessa pagina e appartenente allo stesso capitolo) dove di parla del funerale di un nonno sconosciuto a cui si è partecipato con i proprio cugini, anche loro sconosciuti. 
In questo libro, infatti, non esistono descrizioni di alcun genere (personaggi, paesaggi, luoghi, chi sia la protagonista, di cosa stia parlando). Tutto viene dato ad intendere, come se il lettore sapesse di cosa lei stia parlando. 

Per di più, è come se lei scrivesse un po' per se stessa, perché il lettore non solo non viene interpellato, ma la "stesura" del "tutto" è stata impostata in modo tale che il lettore non possa in alcun modo entrare nella storia ed essere coinvolto. Si percepisce sia un "diario" personale, uno strumento per appuntare un avvenimento della giornata...giusto uno per giornata, letteralmente.

  L'impressione che si ha è quella di aver aperto una porta senza aver prima bussato e rendersi conto di aver sbagliato casa, oppure quella di vedere un film già iniziato.
 La protagonista, infatti, nelle prime pagine, neanche si presenta. Non sappiamo chi sia, chi siano le persone di cui parla, eppure tutto, sin da subito, procede come se fossimo già nel pieno della "storia", anche se, ripeto, di "storia" o "evoluzione della trama" c'è ben poco, anzi, nulla
Ci troviamo davanti a un qualcosa di non definibile come libro: pensieri stroncati, riflessioni a caso di una lunghezza massima di venti righe, e su argomenti di una profondità paragonabile alla preoccupazione di Briatore di non arrivare a fine mese.



Non si può parlare di stile di scrittura, di tecnica narrativa, di descrizione dei personaggi, perché sembra una raccolta appunti giornalieri scritti su un diario di dimensioni 10x10 cm da una ragazzina di undici anni che racconta la sua giornata secondo un bagaglio culturale e lessicale di chi frequenta la scuola elementare

La mia domanda è:
Ma è possibile pubblicare una roba del genere?

Nessuna stellina perché si tratta di un "genere" inclassificabile

giovedì 9 marzo 2017

Le braci, Sándor Márai




Titolo: Le braci
Autore: Sándor Márai
Casa editrice: Adelphi



Scrivere di questo libro mi mette in seria difficoltà, ma so che se non lo faccio adesso, non lo farò mai più, e sarebbe davvero un peccato non parlarvene. Anche perché, dovete sapere.
Dovete sapere che questo libro è bellissimo, unico nel suo genere. 
Ma andiamo per ordine. 

Trama
Il romanzo si sviluppa attorno alla figura di Henrik, ormai sulla soglia della vecchia, che un giorno riceve una lettera da quello che è stato il suo migliore amico di gioventù, Konrad, che lo avvisa di stare ritornando in città. Henrik prepara tutto perché sia uguale all'ultima cena che insieme hanno avuto, più di quarantuno anni fa, nell'ala del castello che proprio da quel giorno ha chiuso senza più farvi ritorno. Almeno, fino ad ora. Mentre impazzano i preparativi, il vecchio Henrik ripercorre con la mente quella che è stata l'amicizia con Konrad, come sia nata e come si sia sviluppata negli anni, offrendoci , nel contempo, un quadro della sua famiglia e di quella dell'amico, e di come, questo abbia influito sul loro legame. A giocare un ruolo fondamentale sarà anche Krisztina, moglie di Henrik e amica d'infanzia di Konrad ormai defunta, che farà da anello al legame che i tre ancora vantano dopo tutti questi anni. C'è, infatti, un segreto, una porta aperta e mai chiusa, che ha spinto Konrad a tornare dai Tropici, e Henrik ad aspettare perché avesse delle risposte. 
Entrambi sapevano che questo momento sarebbe arrivato, e una sera di quarantuno anni dopo, davanti ad un camino, ripercorreremo insieme a loro, ciò ha rotto gli equilibri delle loro vite, oppure, ciò che ha fatto sì che le carte si scoprissero una volte e per sempre...


Recensione



"Sai, ci sono due modi di guardare le cose: come se uno le stesse scoprendo per la prima volta, o come se desse loro addio."


La narrazione procede dal punto di vista di Henrick, ed è attraverso i suoi occhi e i suoi pensieri che vediamo il dipanarsi delle scene, Tra i ricordi e i momenti presenti, ciò che emerge maggiormente è il lungo monologo che il protagonista inizia, e continua anche nel momento in cui avviene l'incontro con l'amico Konrad. Della sua figura, infatti, l'autore si servirà per riaprire in Henrik il canale dei ricordi e dar vita a una lunga orazione in cui affronterà, per la prima e ultima volta, un viaggio nella memoria che lascerà a Konrad un ruolo assolutamente marginale. 
Durante tutta la lettura, saremo ammaliati dalla "presenza scenica" di Henrik e dalla sua orazione. Ruba la scena a tutti, e cattura la nostra attenzione. Non importa a cosa noi stiamo pensando; non importa dove ci troviamo: saremo rapiti. Rapiti dalle sue parole, rapiti da ciò che lui ha provato e che proveremo a nostra volta. E' senz'altro notevole il senso di empatia che ci lega a Henrik. 
Una cosa che mi ha colpito, poi, e che credo di non aver mai provato in nessun altro romanzo con questa intensità, è che durante l'incontro tra i due amici di gioventù, ho avuto l'impressione di essere lì con loro. L'impressione di alzare gli occhi e vedere le alte mura di quella stanza, di abbassarli e vedere le fiamme ardere. Di voltarmi alla mia sinistra e vedere Konrad che stringe la testa tra le mani, e Henrik davanti a me, con la fermezza, il distacco e sicurezza di aver trovato, nella solitudine di quegli anni nel castello, tutte le risposte alle sue domande.

"Nella solitudine si impara a comprendere ogni cosa, e non si ha più paura di niente."

 Insomma, mi sono sentita in tutto e per tutto vicina a loro, o, meglio, a lui, il nostro Henrik. La figura di Henrik ammalia eaffascina; in più la saggezza, il modo di scrutare il mondo e la vita che anni di solitudine gli hanno insegnato, non lasciano indifferenti. Le sua riflessioni, la sua lucidità, i suoi ricordi e le sue risposte si trasformano anche in risposte per noi a domande che ancora non avevamo mai avuto il coraggio di porci. 
Lo stile è piuttosto impegnativo, non posso negarlo. Sono meno di duecento pagine ma, ragazzi, si tratta di duecento pagine pregne di filosofia. Non solo racchiude un mondo, ma anche un'intero modo di pensare, e questo è, a parer mio, più unico che raro.
 Questo libro è di una bellezza rara, in tutte le sue sfaccettature: prosa, contenuti, riflessioni, domande e risposte... Provo ammirazione, rispetto e posso dirvi, in tutta franchezza, una cosa. So, adesso, che effetto fa provare le farfalle nello stomaco.
Sento che tutto ciò che potrei ancora scrivere, e tutte le più belle parole che potrei trovare, continueranno a  non esprimere a pieno ciò che ho provato leggendolo e ciò che è stata l'esperienza di questo romanzo per me. 
Non posso dirvi sia un romanzo che segna, ma posso dirvi sia un romanzo che .
Vi farà viaggiare in un turbinio di emozioni...
Allora, che aspettate a partire? 


Voto
★ ★ ★ ★ 

domenica 5 marzo 2017

Maze Runner (trilogia), James Dashner



Maze Runner è una trilogia fantastica\distopica pubblicata da James Dashner tra il il 2009 e il 2011.
Racconta la storia dell'adolescente Thomas che un giorno, senza sapere come ci sia arrivato, si ritrova nella Radura. La Radura è un luogo in cui sono imprigionati un centinaio di ragazzi che, per i due anni che sono stati rinchiusi lì, ogni mese hanno ricevuto un nuovo cadetto da addestrare e tenere all'interno della Radura. Questo fino al giorno in cui arriva Thomas, giorno che segna tra i ragazzi la rottura degli equilibri createsi in questi anni. Tant'è che il giorno dopo l'arrivo di Thomas arriva anche la prima ragazza del gruppo. Chi sono Teresa e Thomas, si chiedono gli altri Radurai, cosa vogliono da loro? Ma d'altra parte, si chiede Thomas:" Chi sono io? Chi è la C.A.T.T.I.V.O.?"

Ci eravamo lasciati, per quanto concerne la trilogia di Maze Runner, con la recensione del primo capitolo della saga (Il labirinto), che trovate qui.
 Ne ero entusiasta. Nonostante una scrittura semplice e per nulla pretenziosa, riesce comunque a catturare l'attenzione del lettore perché coinvolgente fino alla fine. Ci sono tutti gli elementi per un fantasy d'intrattenimento, e il fatto che la narrazione si snodi su pochi eventi, ma buoni, permette allo scrittore di poter gestire nel migliore dei modi la stesura del romanzo, dato il suo stile elementare. In poche parole, consapevole dei proprio limiti, ha evitato di far bollire in pentola tanti ingredienti, dal momento che sapeva bene non sarebbe stato in grado di cucinarli tutti in un pentolone, e ha preferito preparare la tavola con pochi piatti, semplici, ma gustosi.
Ciò che premio in James Dashner, dunque, è proprio la consapevolezza di non essere il prossimo Premio Nobel, e di aver utilizzato il proprio stile asciutto, chiaro e senza troppi artifici per un romanzo non pretenzioso, non pieno di situazioni che non si incastrano fra loro perché troppe, giocando con una trama avvincente, che desta curiosità nel lettore fino al punto di fagli girare una pagina, e un'altra, e un'altra ancora, senza rendersene conto.

Quella che è stata una buona storia nel primo capitolo della saga, tuttavia, non è stata sufficiente a reggere l'intera trilogia. Il secondo libro (La fuga) si apre con il nostro protagonista che inizia a recuperare man mano i ricordi di quella che è stata la sua vita precedente alla Radura. I flash back sono un elemento che d'ora in poi viene utilizzato sempre troppo spesso nella narrazione e che, inizialmente, contribuisce a distinguerlo dal primo romanzo, con un pizzico di originalità che non guasta. Infatti non si può propinare sempre la stessa impostazione al lettore, che potrebbe facilmente prevedere gli avvenimenti prossimi narrati dallo scrittore. Quindi il fatto che Dashner volesse aggiungere del pepe alla storia ci stava, eccome! Anzi, iniziavo davvero ad affezionarmi alla saga, con particolare riferimento alla trama (non tanto ai personaggi in sè e per sè), ed ero in tutto e per tutto coinvolta, perchè ogni cosa si incastrava alla perfezione con lo stile di Dashner.

Ma, poi...
Di colpo, tutto cambia. Credo che Dashner si sia fatto prendere troppo la mano e abbia iniziato a creare delle situazioni, in primo luogo, non chiare sopratutto a lui. Il protagonista della saga, Thomas, non fa altro che svenire e mangiare e dormire. Al che, io ritengo che lo scrittore abbia creato queste situazioni a fine capitolo un po' per se stesso, come a voler mettere il personaggio in pausa per prendere una boccata d'aria e rispondere alla fatidica domanda "E adesso che scrivo?" . Infatti, l'impressione che si ha spesso in questo capitolo della saga, è che Jamas Dashner non sappia cosa scrivere. E' come se il romanzo pubblicato (in Italia dalla Fanucci) fosse in realtà una bozza dello scrittore ; una sorta di brainstorming scritto, ecco. Quindi si ha, alla fine, una accozzaglia di eventi, che in alcuni punti, soprattutto alla fine, risultano scollegati fra loro. Come se fossero stati pensati singolarmente come idee di un'eventuale intreccio a livello di trama, ma poi non collegati fra loro da situazioni intermedie che sarebbero dovute servire da collante alla storia.

Se ho chiuso il secondo romanzo con l'amaro in bocca (e parecchio nervosismo da smaltire) , il terzo capitolo delle serie (La rivelazione) resta per me una grande incognita, lasciandomi tutt'ora perplessa e confusa. In molti punti della storia mi sono ritrovata a fissare il vuoto in uno stato, appunto, confusionale, perché non capivo come ci fossimo arrivati e quale fosse il motivo. I personaggi, la storia e la narrazione vanno avanti spinti da un'energia che io chiamerei luogo comune, E si: tutto ciò che vedrete in questo libro, con particolare riferimento alla seconda metà, è tutto prevedibile e scontato. I personaggi non vivono di vita propria ma seguono un destino segnato e facilmente intuibile, se ci si sofferma a pensare a un eventuale epilogo della storia. E' tutto forzato, e gran parte di ciò che leggerete sembra capitare lì per caso. Al che voi alzerete spesso gli occhi, increduli, chiedendovi dove siate e cosa stia succedendo. Molti collegamenti aperti durante la narrazione, o eventuali intrecci fra i personaggi, restano lì, senza essere ripresi in futuro: James Dashner tira la pietra e nasconde la mano parecchie volte. Un esempio? Personaggi introdotti , che avrebbero dovuto avere un ruolo nella storia fondamentale, spariscono nel nulla. Se non spariscono nel nulla, appaiono per avere un ruolo marginale nella storia, oppure un ruolo talmente importante ai fini dell'epilogo da non essere credibile data la quasi totale assenza dalla narrazione centrale. Per non parlare delle figure vicine al protagonista , molto importanti per la storia del personaggio di Thomas e del romanzo in sé, che sono parecchio ambigue, e rendono l'evoluzione dei fatti altrettanto ambigua,

La fine.
La fine, che sarebbe dovuta essere la parte con più patos di tutta la trilogia, è stata, in realtà, l'esatto opposto. Data la prevedibilità dell'epilogo che si intuisce facilmente a una trentina di pagine dalla fine, le pagine scorrevano via come se già le conoscessimo. Quindi l'attenzione del lettore cala, ma soprattutto cala l'adrenalina e tutto il romanzo si smonta in men che non si dica. Sembrava di leggere una qualsiasi altra parte del libro, ma non la fine!
Come puoi, James Dashner, rendere l'epilogo di una saga fantasy monotono, e il lettore anaffettivo di fronte alla conclusione di una trilogia ? E dico, trilogia: quindi, intendo tre libri che hanno accompagnato il lettore per un determinato lasso di tempo e verso i quali ci si aspetta di provare una benché minima emozione, di qualsiasi genere! Rabbia,dolore,gioia, curiosità, senso di insoddisfazione... Zero, zero tagliato.



Consiglio la saga?

Al riguardo ho visto diverse YouTubers consigliarla perché "Si, non è una saga eccellente, ma va bene per ingannare il tempo con un una lettura diversa e leggera".

Qui vorrei esprimere il mio pensiero al riguardo.
Leggere un libro non vuol dire ingannare il tempo. Un libro deve arricchire noi e far si che aver ritagliato del tempo per leggerlo ne sia valsa la pena, perché ricordiamolo, il tempo è prezioso, e con lui i libri che dovremmo leggere.
A questo collego un'altra riflessione: la leggerezza di un libro.
Ben vengano i libri leggeri, che ci aiutano a staccare la testa da momenti no o da altre letture più corpose. Ma il concetto di libro leggero non deve essere associato a quello di libro scritto male, libro scritto tanto per, libro scritto come se lo scrittore ci stesse facendo un favore. Il libro deve essere scritto bene a prescindere, deve godere di una propria struttura e deve intrattenere il lettore. Perché ricordiamolo: ad essere leggeri saranno solo gli argomenti o i modi in cui questi vengono trattati, e MAI la dicotomia di libro leggero deve giustificare l'inerzia e la vacuità di un oggetto così di valore come un libro.

La mia risposta è dunque NO. E' ingiustificabile:
-l'accozzaglia di situazioni aperte e mai chiuse o riprese durante la narrazione;
-la presenza di tanti eventi inseriti tanto per far numero e rendere il romanzo più complesso, con il solo risultato di aver creato episodi scollegati fra loro e un gran senso di confusione;
-un finale atono e prevedibile;
-un calo di attenzione del lettore nelle ultime trenta pagine;
-il lettore diventa anaffettivo nei confronti dei personaggi e della storia che gli hanno tenuto compagnia durante la lettura di un'intera trilogia.

Che gran peccato Dashner, hai sprecato un'occasione!